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La lingua italiana, sessista per necessità e inclusiva per scelta 

Le parole sono importanti, fondamentali nel loro significato intrinseco e nel ruolo che ricoprono all’interno della nostra società, esse nascono infatti dall’esigenza di identificare verbalmente e universalmente un oggetto, un avvenimento e ovviamente una persona.

Questo significa che dal momento in cui nasce la necessità sociale di identificazione, ad esempio di una “sindaca”, diventerà uso e consuetudine l’utilizzo di quel sostantivo con annesso inserimento nel nostro vocabolario.

La lingua italiana è quindi sessista per necessità non per scelta. 

Esempio? GUERRIERA/SOLDATA che sono due concetti ben diversi anche se similari.

La storia ci ha tramandato infatti le odi di innumerevoli guerriere mitologiche e storiche, dalle amazzoni a Giovanna d’Arco, ma di soldatesse? La differenza sta proprio nella necessità di identificare qualcosa che diventi consuetudine, la figura femminile all’interno degli eserciti e delle gerarchie militari è attribuibile alla storia più recente della civiltà umana; mentre troviamo da sempre contadina, fornaia, lavandaia, mugnaia, mietitrice, ballerina o sposa.

Quindi la soldata così come: la muratrice, la carrozziera, la benzinaia, la minatrice, la saldatrice, la sindaca, la vicesindaca, l’assessora, la ministra ecc. sono sostantivi letterariamente non nati in passato a causa della mancata necessità di identificarne la presenza della figura corrispondente. 

La linguistica ci conferma inoltre che l’evoluzione di un codice di fonemi e la relativa codificazione attraverso lettere o ideogrammi (una lingua), è soggetta nel tempo a modificazioni in relazione all’emergere della necessità di nuove definizioni o sostantivi. 

Plateale fu il caso di “petaloso”, ma ad esempio in precedenza anche “zzz” (verso onomatopeico degli insetti) fu inserito insieme a tante altre nuove parole che ogni anno aggiornano il nostro vocabolario.

La società che abbiamo creato e continueremo a tramandare, è l’unica e somma genitrice di tutte le forme verbali o scritte che regolano e favoriscono i nostri rapporti sociali.

Quindi troveremo a breve l’aggiornamento di tutte quelle forme declinate in passato solo al maschile, così come previsto dalla linguistica. 

Discorso assai più complesso invece è quello relativo al cosiddetto “genere neutro” che prevede l’utilizzo dell’asterisco (*) e della schwa, il simbolo “ə” pronunciato come un suono a metà tra la lettera o e la e, es. la vocale non scritta nel dialetto napoletano di mamm’t. Il problema è che non solo non sono annoverati tra i caratteri del nostro alfabeto, ma l’asterisco non ha addirittura un fonema corrispondente e quindi risulta impossibile la sua riproduzione verbale. Volendo poi esser pignoli la “ə” non è dotata di una forma maiuscola e quindi non sarebbe compatibile con le regole grammaticali della lingua italiana.

Soluzione proposta da alcuni linguisti sarebbe quella di pronunciare in questo caso entrambe le forme plurali con precedenza a quella femminile, quindi signor* diventerebbe “signore e signori”. L’anteporre il femminile a maschile sarebbe poi una sorta di “risarcimento” per centinaia di anni di sessismo lessicale. 

Un’altra alternativa proposta sarebbe la mancata pronuncia dell’ultima vocale in caso di plurale generico al esempio “tutt*” andrebbe pronunciato come “tutt” lasciando così sospesa la declinazione e aperta a qualsiasi genere.

L’incongruenza tra genere grammaticale e naturale alimenta oggi più che mai un acceso dibattito socio-culturale, e il 

tempo del “maschile neutro” sembra ormai giunto al termine, lasciando il posto a forme lessicali più inclusive e ugualitarie.

Ciò che appare evidente quindi è che le lingue non sono sessiste o discriminatorie, lo sono le società a cui appartengono, essendo speculari ad esse.

Salvatore Battaglia 

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