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Licata. Morto bimbo al nono mese di gravidanza: l’atto d’accusa per il ginecologo 

“Conoscendo il percorso clinico della paziente avrebbe dovuto essere più attento e scrupoloso” e ancora “avrebbe dovuto essere più attento e non limitarsi, soprattutto negli ultimi due mesi, a consulti whatsapp”. Lo hanno dichiarato i consulenti Paolo Procaccianti ed Emiliano Maresi, nominato dalla procura di Agrigento guidata da Giovanni Di Leo, nell’ambito del processo che vede imputati un ginecologo e un medico del pronto soccorso dell’ospedale di Licata per lesioni colpose. La vicenda è quella legata alla morte di un feto nel grembo della madre per 35 settimane e la conseguente asportazione dell’utero della donna. Secondo l’accusa, i due medici avrebbero sottovalutato i mal di testa, l’ipertensione e il crollo di piastrine accusati dalla donna in due diversi accessi all’ospedale San Giacomo d’Altopasso. I consulenti del Pubblico ministero, in particolare, puntano il dito sull’operato del ginecologo Mario Marcello Pira: “Conoscendo il percorso clinico della paziente, avrebbe dovuto essere più attento e scrupoloso”.Diversa, a dire dei consulenti, sembrerebbe la posizione del medico di pronto soccorso Michele Cannarozzo: “Nell’unico accesso del 23 giugno del 2019 – hanno detto – avrebbe dovuto disporre il ricovero solo nell’ipotesi in cui fosse a conoscenza del percorso clinico precedente”. I due imputati sono difesi dagli avvocati Salvatore Manganello e Luigi Ciotta. I familiari – genitori, zii e nonni – si sono costituiti parte civile rappresentati dagli avvocati Gianfranco Pilato e Giuseppe Sorriso. Si torna in aula il 18 settembre per l’audizione dei consulenti di questi ultimi. 

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