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Video. Relazione DIA: “Nell’agrigentino e nel Nisseno coesistenza cosa nostra e stidda” 

Nella giornata di ieri 30 settembre è stata pubblicata sul sito del Senato della Repubblica la relazione semestrale della DIA presentata dal Ministro dell’interno e relativa all’analisi sui fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso del II semestre del 2021. L’analisi è realizzata sulla base delle evidenze investigative, giudiziarie e di prevenzione e conferma, ancora una volta, che il modello ispiratore delle diverse organizzazioni criminali di tipo mafioso appare sempre meno legato a eclatanti manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria. Ciò appare una conferma di quanto era stato già previsto nelle ultime Relazioni ed evidenzia la strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale tesa ad arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’Ordine pubblico economico.

Una direttrice d’azione importantissima che ha consentito sino ad ora di ridurre drasticamente la capacità criminale delle mafie evitando effetti che altrimenti sarebbero stati disastrosi per il “sistema Paese”.

Lo scorso 29 ottobre 2021 la Direzione Investigativa Antimafia ha celebrato, nel palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, i 30 anni della sua attività.

Da quella data è partito un percorso che ha coinvolto 24 città con l’esposizione dell’“Antimafia itinerante” una mostra che racconta la storia ed i successi della DIA, una Istituzione nata anche con il sacrificio di tanti servitori dello Stato che hanno contribuito alla costruzione di un moderno strumento di contrasto alla criminalità organizzata che ci viene invidiato dalle Law Enforcement di tutto il mondo.

La mostra fotografica “Antimafia Itinerante” ha percorso il Paese e, tramite 34 pannelli con foto, immagini e cronaca dei giornali, ha rievocato 30 anni di storia e di passione delle donne e degli uomini della DIA nell’azione di contrasto alle mafie.

L’esperienza, anche in termini di testimonianza alle nuove generazioni della storia e della cultura antimafia, ha raccolto risultati lusinghieri ed è stata visitata dal oltre 200.000 persone.

L’“Antimafia Itinerante” ha evidenziato i numerosi ambiti d’intervento della DIA che spaziano dall’azione giudiziaria e preventiva antimafia a quella del contrasto all’infiltrazione criminale nel settore degli appalti pubblici a supporto delle Prefetture, fino all’analisi e allo sviluppo delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette in stretta collaborazione con l’Ufficio di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia e la Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo nella lotta al riciclaggio. Ha inoltre riassunto le attività complessivamente portate a termine dalla DIA, ben 1.135 indagini, che hanno consentito l’arresto di 11.478 soggetti e la sottrazione di beni alle mafie per oltre 24 miliardi di euro. In particolare, ha anche ricordato le catture di 177 latitanti tra cui spiccano i noti Leoluca BAGARELLA, Giuseppe MALLARDO, Francesco SCHIAVONE e Angelo NUVOLETTA.

La mostra ha altresì sottolineato come la DIA abbia sempre svolto un contrasto alle mafie qualificato e al passo con i tempi, sempre più rivolto al contrasto delle mafie transnazionali mediante un’intensa attività di cooperazione internazionale a livello bilaterale e multilaterale. In quest’ambito la Direzione ha fornito e continua a fornire agli uffici del Dipartimento della Pubblica Sicurezza il proprio contributo mediante l’elaborazione di specifici documenti di analisi volti a riscostruire le linee evolutive della criminalità organizzata transnazionale e tramite la programmazione di numerose attività formative per diffondere le metodologie e le best practices più efficaci per la lotta al fenomeno mafioso.

Sulla base di queste considerazioni, la Relazione di questo semestre descrive i profili evolutivi delle organizzazioni di tipo mafioso e di matrice etnica soffermandosi sui rispettivi modus operandi e avendo riguardo alle differenti capacità in ordine alla infiltrazione nell’economia legale e al turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica.

L’elaborato sottolinea, inoltre, quanto lo specifico contrasto debba svolgersi anche e soprattutto avvalendosi della cooperazione internazionale attesa la perdurante tendenza delle mafie nazionali a rivestire ruoli di rilievo all’estero. In tale ambito si sottolinea l’efficacia della Rete Operativa Antimafia @On di cui la DIA è ideatrice, promotore e Project Leader.

Nella premessa della Relazione e nel capitolo dedicato al riciclaggio vengono rispettivamente trattate le più recenti evoluzioni della normativa nazionale e continentale attinente all’esecuzione all’estero di provvedimenti ablativi e alla prevenzione del money laundering realizzato attraverso i mercati elettronici.

La Relazione inoltre propone un focus di approfondimento sulla criminalità nigeriana strutturata nei c.d. secret cults i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e più in generale un modus agendi che la Corte di Cassazione ha più volte ricondotto alla tipica connotazione di “mafiosità”. Appare altresì particolarmente significativo evidenziare come siano state accertate riunioni periodiche dei cult in talune città con collegamenti tra omologhi sodalizi operativi in diverse aree del nostro Paese.

Tale quadro, pertanto, impone di continuare nella lotta contro la criminalità organizzata con particolare attenzione all’aggressione dei beni illecitamente accumulati dalle mafie mediante gli strumenti dei sequestri penali e di prevenzione.

Su questo fronte, la portata dei provvedimenti di prevenzione eseguiti nel semestre in esame testimonia l’attenzione verso il settore della Direzione Investigativa Antimafia che orienta le sue attività per proteggere il tessuto economico del Paese dalle ingerenze della criminalità organizzata.

“Nella provincia di Agrigento si conferma la coesistenza di cosa nostra e della stidda. Si tratta di due realtà mafiose storicamente radicate nel territorio sempre pronte alla individuazione e alla spartizione delle attività criminali da perpetrare sul territorio di competenza così come confermato anche dall’indagine conclusa lo scorso semestre denominata “Xydy”. Al riguardo è bene precisare che l’inchiesta ha messo in luce alcune pericolose “frizioni” tra esponenti ai vertici di cosa nostra e vari soggetti della criminalità organizzata di matrice stiddara operante a Palma di Montechiaro a causa del controllo di lucrose illecite attività. Tali avvenimenti potrebbero nel tempo mettere in discussione il tacito accordo di non belligeranza che vige da anni oramai nella “Valle dei Templi”. A cavallo degli anni ’80 e ‘90, infatti, si scatenò una versa e propria guerra fra cosa nostra e la stidda. Il sanguinoso conflitto alla fine vide prevalere cosa nostra agrigentina, supportata dai corleonesi. Gli stiddari perdenti nel tempo furono capaci di ricompattarsi e di trasferire i loro interessi nel nord Italia trasformandosi in un’organizzazione più propensa agli “affari” che a commettere delitti basati sulla violenza. Uno degli stiddari del tempo già considerato dal giudice Giovanni Falcone il trait d’union tra la stidda isolana e alcuni gruppi operanti in Lombardia è stato tratto in arresto nei pressi di Madrid (Spagna) il 17 dicembre 2021 dopo una latitanza che durava oramai da vent’anni. Il boss, considerato uno dei 20 latitanti più pericolosi d’Italia già in passato riuscì ad eludere le carceri italiane rifugiandosi in Spagna dove venne successivamente arrestato ed estradato. Contrasti potrebbero scaturire, inoltre, dal ritorno in libertà di boss e/o gregari determinati a riconquistare il proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. La citata indagine “Xydy” ha anche appurato “…continui e strettissimi…” contatti tra alcuni esponenti di spicco agrigentini con sodali di altre province siciliane finalizzati alla organizzazione e alla gestione di importanti business a “rinnovata” conferma “…del ruolo fondamentale rivestito delle cosche agrigentine nelle dinamiche dell’intera cosa nostra isolana.”. Essa continua quindi a rivestire un ruolo di supremazia sul territorio82 apparendo come un’organizzazione strutturata e ancorata alle tradizionali regole mafiose in stretta connessione con le omologhe articolazioni mafiose catanesi, nissene, palermitane, trapanesi e di oltreoceano. Pregresse attività di indagine hanno poi documentato intense relazioni anche con le cosche calabresi. In tale contesto criminale, in ne, risulterebbero attivi anche alcuni gruppi strutturati su base familiare quali le famigghiedde e i paracchi che agiscono secondo le tipiche logiche mafiose operando autonomamente rispetto a cosa nostra e alle consorterie stiddare. Sebbene strutturalmente basata sulla atavica suddivisione mandamentale la citata indagine “Xydy” ha messo in evidenza alcune variazioni sull’organizzazione territoriale di cosa nostra agrigentina documentando il “transito” della famiglia mafiosa di Licata dal mandamento di Palma di Montechiaro a quello di Canicattì. Giova evidenziare che negli ultimi anni si sta assistendo al particolare fenomeno dell’emigrazione criminale basata sulla determinazione della ma a agrigentina di trasferire i propri interessi illeciti al di fuori dei tradizionali con ni di competenza. Analizzando il fenomeno mafioso nella provincia si può affermare che nella quasi totalità delle attività investigative poste in essere nel recente passato emergono innumerevoli eventi estorsivi a cui fanno generalmente seguito le intimidazioni che rappresentano una fonte primaria di sostentamento oltreché un importante strumento di controllo del territorio così come avviene per il traffico di sostanze stupefacenti. Nel semestre l’operazione “Piramide” conferma l’attivismo della criminalità agrigentina in quest’ultimo settore. L’indagine conclusa dai Carabinieri il 27 dicembre 2021 ha consentito di disarticolare un’organizzazione criminale dedita al traffico di cocaina e hashish nei territori di Agrigento e Caltanissetta. Benché allo stato gli indagati non siano ritenuti affiliati o comunque vicini ad ambienti ma osi non è difficile ipotizzare che nell’illecita condotta considerando i territori ad alta densità ma osa ove avveniva il traffico potrebbe essere presente un’occulta regia di cosa nostra. Altro settore di interesse ma oso è quello del controllo del gioco d’azzardo. Da anni le ma e tradizionalmente opportuniste e costantemente alla ricerca di nuove modalità di arricchimento considerano lo specifico settore oltre che fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura, uno strumento che ben si presta a qualsiasi forma di riciclaggio. Nel semestre la lotta alla criminalità organizzata si è concretizzata anche con l’emissione da parte della locale Prefettura di alcuni provvedimenti interdittivi nei confronti di società a serio rischio di infiltrazione mafiosa. Al riguardo si segnala che l’operazione “Waterloo” conclusa a cavallo tra la  ne dello scorso semestre e l’inizio di quello in esame, ha evidenziato gravi forme di illegalità diffuse nella provincia ad ogni livello. Nel dettaglio queste ultime riguardavano la gestione della società erogatrice del servizio idrico integrato per la Provincia di Agrigento già colpita da un provvedimento interdittivo nel novembre 2018. L’indagine condotta dalla DIA, dalla Guardia di  finanza e dai Carabinieri in definitiva ha svelato una “gestione criminale” dei vari rami d’azienda posta in essere dalla governance della società accusata di associazione a delinquere  finalizzata alla perpetrazione di delitti contro la Pubblica Amministrazione, frode in pubbliche forniture, furto, ricettazione, reati tributari, societari e in materia ambientale e truffa ai danni di privati. Nel territorio provinciale in passato si erano verificati numerosi episodi in grado di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno rilevato la capacità della ma a girgentina di fare affari con quella cerchia di personaggi i quali spinti da facili e lucrosi guadagni agevolano sempre più le condotte criminali mafiose. Nel contesto criminale agrigentino continuano in ne a operare gruppi di matrice etnica per lo più maghrebini, egiziani e rumeni tollerati dalla ma a in quanto dediti a illeciti non di diretto interesse mafioso quali il riciclaggio di materiale ferroso, traffico di esseri umani per lo più dal nord Africa, sfruttamento della prostituzione e spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti.

La tendenza della criminalità organizzata a prediligere una silente infiltrazione nel tessuto socio-economico, sembra consolidarsi anche nella provincia nissena. Le attività di contrasto delle Forze di Polizia evidenziano come il territorio risenta dell’influenza di famiglie mafiose appartenenti a cosa nostra e stidda le quali tendono generalmente al raggiungimento di accordi per la spartizione del mercato dell’illecito. L’articolazione di cosa nostra nissena rimane invariata. Nella parte settentrionale della provincia sono presenti i mandamenti di MUSSOMELI di VALLELUNGA PRATAMENO sotto l’influenza dei MADONIA, sul versante meridionale
operano invece i mandamenti di RIESI e GELA.

Nell’ambito di quest’ultimo oltre alla famiglia di NISCEMI sono attive le locali famiglie di cosa nostra degli EMMANUELLO e dei RINZIVILLO. La stidda continua a conservare un’influenza nei territori di Gela e Niscemi. Un estratto della Procura della Repubblica di Gela come riportato nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2022 della Procura Generale della Repubblica di Caltanissetta afferma tra l’altro che “il circondario di Gela è afflitto da una allarmante e peculiare (unico centro siciliano) situazione criminale, atteso che insistono sul territorio ben tre perniciose ed aggressive associazioni mafiose, riconducibili rispettivamente a “cosa nostra”, “stidda” e clan Alferi, che compiono fatti delittuosi particolarmente inquietanti….”. Il venir meno di omicidi direttamente riconducibili alla mafia avvalora ancora di più l’inversione di tendenza che le organizzazioni hanno adottato cioè evitare il più possibile episodi di violenza che potrebbero fare “riaccendere” i riflettori su uno scenario criminale che invece agisce ormai subdolamente. Il principale scopo è quello di infiltrarsi in settori produttivi che gestiscono i principali flussi di denaro attraverso l’aggiudicazione di appalti pubblici e privati, forniture e servizi vari o comunque trarre da essi profitti illeciti da reimpiegare anche attraverso il ricorso a prestanomi nei canali economici legali. Inoltre i sodalizi mafiosi gestiscono sul territorio il traffico degli stupefacenti, le estorsioni ed il riciclaggio.

A tale riguardo anche nel semestre in esame sono state eseguite operazioni di contrasto nei confronti delle consorterie mafiose. Il 24 settembre 2021 è stata eseguita l’operazione “Chimera” che ha consentito di ricostruire un quadro di attività criminale riconducibile alla c.d. mafia agricola nel conteso
del quale si è delineata un’attività volta all’acquisizione di contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E. VIDEO:

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